lunedì 4 aprile 2011

Un frammento di me

Ho deciso di donarvi un frammento di me, di aprirmi di più con voi e scrivervi un pezzo del mio libro "inedito" che spero di riuscire a terminare.

Sannicandro di Bari, Italia
23 settembre
 Caro diario,
 Il motivo per cui oggi, 23 settembre, ho aperto questo nuovo quaderno che presto finirà insieme agli altri nell’Armadio dei Ricordi è che L’HO VISTA! Stamattina a scuola durante la lezione di storia della professoressa Silletti, ho avuto una visione.
 Nonostante sia preparato più della prima volta e ne abbia ricevute parecchie, non ho potuto fare niente per aggrapparmi al presente e non scivolare nell’incoscienza.
 La visione mi ha portato, come mai prima d’ora, fuori i confini dell’Italia. Da quanto ho potuto notare dati i miei lunghi viaggi, mi ha portato in America, esattamente nello stato di Alabama.
 Ho visto una ragazzina sicuramente umana dai capelli neri corti e scompigliati dalle punte
 di colori diversi e gli occhi blu pieni di lacrime che scivolavano dalle sue guance rosee su una pagina di un quaderno tipo questo, affogando le parole d’inchiostro che scriveva.
 Era così bella! Se solo avessi potuto confortarla dal suo dolore… Se solo avessi potuto asciugare le sue lacrime perlacee…
 MA NON MI E’ CONCESSO!
 Le visioni sono così. Puoi vedere, ma non toccare.
 Ah, quale tristezza, quale eterno sconforto sapere di non aver potuto far niente per aiutarla!
 Mi sarebbe bastato solo conoscere il suo nome… Ma nel momento in cui stava firmando con la sua grafia sottile e sinuosa, la visione è sparita!
 Mi sono ritrovato in corridoio con alcuni miei compagni intorno che mi chiedevano sconvolti cosa fosse successo.
 COSA E’ SUCCESSO?! La visione è sparita e non ho potuto leggere il suo nome, maledizione.
 Ansimando come avessi corso, ancora agitato per la visione e la ragazza, sono solo riuscito a rispondere “Niente, va tutto bene”.
 Ma che cosa andava BENE?! CHE COSA?! NIENTE, assolutamente NIENTE!
 E’ la prima volta che mi capita di essere deluso da una visione. Non mi ha dato nessun particolare su cui lavorare. Mi ha solo rovinato la giornata con quella ragazza.
 Quando sono tornato in classe non riuscivo a pensare ad altro se non a lei e ho finito per prendere ben più di un’insufficienza. Ma in fondo i voti sono il mio ultimo problema. Con un po’ di studio e carisma e soprattutto soldi, posso migliorare le mie insufficienze in un attimo.
 Comunque ciò che occupa i miei pensi3eri e per cui rischio di non dormire stanotte è l’unica frase che sono riuscito a leggere dal suo quaderno.
 “Cara Lizzie”. Chi sarà mai questa “Lizzie” a cui lei scriveva? Cosa conteneva quella lettera scritta con così tanta premura che ha causato in lei tutto quel dolore?
 Credo che resterò tormentato dai dubbi fino a quando non avrò un’altra visione, cosa che credo non accadrà tanto presto.
 Nel frattempo potrò rimuginare sul fatto che anche essendo in America, lei scriveva in italiano.
 Non avrà forse dei parenti in Italia? Sarà di origini italiane? E’ possibile che si sia trasferita semplicemente in America come tante famiglie italiane in cerca di un posto di lavoro?
 Non lo so e continuerò a chiedermelo finché non troverò una risposta. Probabilmente ci vorrà molto tempo, non so quanto.
 Continuerò a sperare anche se, forse, non la rivedrò mai più.
 La speranza è l’ultima a morire, o almeno così dicono.

Arcangelo de Nieri


 Arcangelo posò la penna e si rilassò sulla sedia. Non immaginava che scrivere quanto aveva visto potesse essere così liberante. Si sentiva finalmente libero da quel peso che l’aveva oppresso per tutta la giornata.
 Che stupido che era stato! Orgoglioso, ecco com’era. Si sentiva forte e pieno di sé sicuro di poter sopportare qualunque pensiero e visione, ma, a quanto sembrava, non era affatto così.
 Si passò una mano fra i capelli ramati scompigliandoli.
 Aveva passato anni interi senza mai confidare i suoi pensieri a nessuno, nemmeno ad un foglio di carta e si era dimenticato di come era facile vivere così, senza più niente da nascondere e senza doversi sforzare per ricordare.
 Inizialmente il diario era l’unica cosa che non lo facesse impazzire, che lo aiutasse a ragionare. A volte gli era bastato rileggere alcune pagine per risolvere i problemi che lo perseguitavano, a comporre i puzzle. Ma dopo l’incidente aveva smesso completamente di ripulirsi dei suoi peccati, era quasi una confessione quella che faceva quando si trovava con il quaderno davanti e una penna.
 Ora non ricordava neanche più con esattezza quando era successo, la data era avvolta nella più fitta nebbia. Però le grida acute di Shevalon gli perforavano ancora i timpani appena chiudeva gi occhi, le immagini della sua esecuzione venivano proiettate sulle sue palpebre senza alcun rispetto per il dolore che provava. E ogni volta era sempre la stessa storia. Spalancava gli occhi terrorizzato dai ricordi che ritornavano puntuali ogni giorno e si metteva a scrivere.
 Ma quando non aveva tenuto un diario dei suoi sfoghi e pensieri più profondi, usciva subito dalla finestra della sua camera come se solo scappando da lì potesse fuggire ai ricordi. Era un incubo poi fuori nella notte dove tutte le ombre gli sembravano nascondessero Shevalon con i suoi lunghi capelli dorati. L’uscita finiva sempre con un massacro di innocenti.
 Strizzò gli occhi. Non voleva ricordare tutto quello che gli era successo in quegli anni quando aveva vissuto come un animale. Si sentiva sporco del sangue delle vittime che aveva ucciso senza motivo e si rendeva finalmente conto di quanto potesse essere utile pulirsi dei suoi peccati.
 Non era mai stato religioso o comunque un credente in un Dio superiore che osservava la vita dei mortali sulla Terra. Una volta forse, ma ora non più. Non esisteva un Paradiso dopo la morte o almeno non per lui. Però non desiderava essere uguale agli altri, nutrirsi delle vite di innocenti e sporcare di più la sua condotta che comunque non era mai stata immacolata. Non voleva distruggere il futuro di altre persone solo per sentire quel succo caldo scivolargli in gola…
 No, aveva ufficialmente smesso i panni dell’assassino quell’undici settembre quando aveva deciso di tornare ancora una volta dietro il banco di una classe. Ora sarebbe stato come nei film, buono, e avrebbe domato quell’infrenabile impulso di lacerare, mordere, squarciare all’odore della linfa proibita.
 Nei film lo facevano e spesso ci riuscivano anche, anzi molto più di spesso. Ma non era così facile.
 Per ora più di camminare sulle acque del peccato, galleggiava a fatica in quel tumulto che sarebbe potuto costare la vita di più una ventina di persone.
 Scosse la testa non doveva pensare negativo. Per quella ventina di giorni che aveva trascorso, si stava comportando discretamente, senza dare troppo nell’occhio nonostante le ragazzine gli stessero sempre appiccicate come non cercassero altro che un modo per morire.
 Si distese sul letto guardando attraverso la finestra proprio di fronte a lui e chiuse gli occhi.
 Certo che i pensieri positivi non gli mancavano! Se continuava a pensare come un predatore, di uccidere, sfracellare, massacrare, non sarebbe stato per nulla facile passare per uno qualunque.
 Loro avevano sempre quell’allegria incomprensibile dentro sebbene in Africa si sparassero contro chili e chili di proiettili. La gioia selvaggia che riempiva i loro cuori era causata da una cosa soltanto, l’amore.
 Arcangelo l’aveva conosciuto l’amore, l’aveva assaporato pian piano mentre cresceva dentro di sé, l’aveva coltivato con affetto solo per schiacciarlo e pestarlo con violenza quando ormai era aumentato a livelli inimmaginabili. Perché lei non lo voleva. Shevalon non l’aveva mai voluto ma l’aveva illuso di avere ancora una qualche speranza con lei.
 Era stato uno stupido a farsi ingannare da lei quando aveva visto benissimo le sue menzogne. Ma l’amore rende ciechi e lui non poteva far altro che lasciarsi sbeffeggiare da Shevalon con il cuore sempre gonfio di nuove speranze e stracolmo d’amore. E quando lei gli aveva confessato di amare un altro che lo considerava nientemeno che un amico fidato, non aveva potuto far altro che rassicurarla, che confortarla mentre guardava i suoi splendidi occhi che brillavano chiari come diamanti nella notte.
 Come aveva potuto illudersi così? Come aveva permesso che lei tante volte si prendesse gioco di lui usandolo per raggiungere il suo amato?
 Era, però, ancora fermamente innamorato di Shevalon nonostante lei lo avesse tradito e fosse morta da secoli probabilmente. Non sapeva come ma ogni qual volta si fermava a pensare a lei, al suo volto di un chiaro ovale perfetto su cui sbocciavano le gemme celesti degli occhi e la sua rosea bocca tenera, gli si stringeva il cuore in una morsa che avrebbe continuato a chiudersi attorno ad esso per sempre.
 Una lacrima di un rosso sangue fuggì dalle sue palpebre chiuse e scivolò sul cuscino candido.
 Intanto, le gocce d’acqua cadute dal cielo si posavano sul vetro della finestra e, mentre continuavano la loro corsa, guardavano incuriosite dentro, quel giovane ragazzo che fingeva di dormire.

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